Stefania Di Filippo


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Testi critici


CERCANDO L'INFINITO
testo di Alberto Dambruoso

La ricerca di una calibrata e armoniosa fusione tra viaggio fisico reale e viaggio mentale sovradimensionale rappresenta uno degli aspetti centrali della recente produzione pittorica dell’artista romana Stefania Di Filippo. Le sue opere, caratterizzate da un misurato bilanciamento cromatico e dalla liquida scorrevolezza del colore, si potrebbero definire come l'esito di un processo esperenziale in cui immaginazione e realtà convergono e si risolvono nel fare pittorico. La pittura assume di volta in volta la forma e i connotati simbolico-poetici delle metamorfosi conoscitive scaturite sia dalla relazione con l’ambiente che abitualmente circonda l'artista, sia dal contatto con le differenti culture, atmosfere, paesaggi da lei incontrati in occasione di alcuni viaggi compiuti negli scorsi anni alla scoperta dei siti in cui sorsero le antiche civiltà bagnate dal Mediterraneo, come nel caso delle opere che danno vita a questa mostra, nate a seguito di un viaggio in Turchia nel 2009 ed in particolare dalla stimolazione e suggestione della visione, dall’alto di una mongolfiera, del paesaggio e del territorio della Cappadocia. Analizzando da vicino i lavori esposti, si potrà infatti cogliere nella tavolozza utilizzata dall’artista, composta prevalentemente da colori tenui e caldi, come questa evochi l'orografia della regione turca, mentre la leggerezza del colore liquido ricordi l'atmosfera rarefatta dell'esperienza del volo. La visione aerea viene in questo modo sublimata dalla sensibilità dell'artista e rielaborata in una personale e vibrante mappatura del reale.
Il punto di vista insolito che il viaggio reale ha offerto, dischiude il senso di stupore che l'artista infonde alla realtà su cui il suo sguardo si posa, mantenendo intatta nella trasfigurazione pittorica l'emozione che l'ha generata. Di Filippo conserva lo sguardo prezioso del poeta fanciullino che si rivolge al mondo, ai misteri della natura come alle piccole cose, guidato dalla meraviglia prodotta dalla scoperta. Le opere contengono la tensione della ricerca e il senso del mistero che genera la segreta corrispondenza tra il mondo della natura e quello dell'interiorità umana, tra il paesaggio fisico e quello dell'anima. Il titolo della mostra, Cercando l'Infinito, allude a questa ricerca costante che procede fuori e dentro di sé, nel passato e nel presente, come nello stato della veglia e del sogno, fino a confondere e a perdere i confini tra le due dimensioni.
La pittura è astratta, ma nata da suggestioni reali che conserva e che lo spettatore riattiva, innescando un meccanismo relazionale con l'opera.
Oltre agli olii e agli acquerelli, i lavori sono realizzati con tecnica mista e includono materiale extrapittorico. Anche in questa sperimentazione di tecniche, il viaggio fisico e il viaggio mentale si amalgamano; l'olio avvolge i materiali provenienti dalla quotidianità e li tiene assieme come se custodisse un ricordo, una memoria. Le fotografie, gli stralci di giornali e di carta così trasfigurati testimoniano un'esperienza insieme individuale e collettiva.

In altre opere invece, è impiegato un tessuto, una tela garzata usata dalle modelliste. Oltre a essere un elemento caro all'artista, proveniente da una famiglia di sarti, il tessuto è anche metafora del territorio che si dispiega sotto il nostro sguardo, ma che nasconde tra le sue pieghe, vite, tradizioni, culture diverse, invitandoci quindi ad entrare in profondità, nell’essenza delle cose per cogliere l’autenticità della vita nelle sue sempre rinnovate manifestazioni.
Quella della Di Filippo è in sostanza un tipo di ricerca condotta tutta all’interno della pittura e dei suoi elementi costitutivi che mira a mettere in evidenza attraverso la sua innata forza generatrice d’immagini, la meraviglia di un mondo in cui l’armonia, la poesia, il sentimento e l’emozione si sono dati tutti magicamente appuntamento.



LE VOCI DI DENTRO - INDAGINE DAL SOTTOSUOLO
testo di Andrea Romoli Barberini

Ad un primo sguardo il lavoro di Stefania Di Filippo sembra incentrarsi su un sofisticato esotismo e sul recupero del mito dell’evasione, basta interrogarsi sul taglio compositivo di questi quadri, soffermarsi sulle sovrapposizioni pittoriche, che esaltano l’essenza di tante culture lontane, per comprendere che l’attenzione rivolta a ciò che è altro da noi non è che un modo per criticare il nostro mondo occidentale. Quella della Di Filippo è infatti una pittura che dietro il diaframma di una gradevolezza tutta esteriore cela di fatto una critica severissima a quella parte del mondo, la nostra, che da decenni ha avviato, con la globalizzazione dei mercati e il processo di standardizzazione di bisogni e sogni, l’azzeramento delle identità culturali e la rimozione, dal sentire comune, di sentimenti come il senso di appartenenza a un popolo e alla sua storia, l’onore, la fierezza, la cosciente consapevolezza del proprio sé. Per questa via il quadro assume quasi il valore dello strumento di indagine antropologica finalizzato alla riscoperta e al recupero di tutto quanto è stato neutralizzato dal pensiero unico. Dati questi presupposti, nei lavori della Di Filippo è facile dedurre l’indispensabilità della tecnica pittorica che col suo contrapporsi al processo “freddo” dell’oggettività fotografica rigetta drasticamente ogni contatto con la tecnologia per riconoscere in quest’ultima l’arma letale al servizio dell’omologazione.qualche tempo, a questo accattivante fronte di ricerca se ne è aggiunto un altro, più intimo, introspettivo e personale, ma non per questo meno suggestivo: quello del paesaggio inteso non già come possibilità descrittiva di siti fisicamente esistenti, secondo la tradizione del , ma piuttosto come rappresentazione di luoghi la cui forma, seppur ispirata dalla realtà, si manifesta come trasfigurata, calata in una dimensione irreale che, memore della lezione simbolista, si carica di una inaspettata nota visionaria. queste ultime opere, quel piglio particolaristico finalizzato alla resa oggettiva dell’immagine, che ha connotato la quasi totalità della produzione precedente, sembra venir meno. Una maggiore freschezza pittorica, a tratti quasi gestuale, abita ora le tele della Di Filippo. Il cambiamento è evidente, anche e sopratutto in termini di significato, perché testimonia l’inversione dell’indagine pittorica dall’esterno all’interno del proprio sé. Una fase, quest’ultima, forse inevitabile, per chi, come la Di Filippo, dopo aver studiato, col precedente ciclo, l’altro da sè, sente ora la necessità di indagare nel proprio “sottosuolo”, per recuperare le coordinate mancanti e cercare di stabilire, con la pittura e nella pittura, l’esatta collocazione del proprio essere nel mondo.



menzione speciale Premio Celeste
di Gianluca Marziani

“ ...da affiancare ai finalisti, sottolineando una maturità tra sperimentazione e memoria, orientata ai viaggi interiori, alle emozioni soggettive, ai modi in cui corpo e contesto interagiscono”.



PREMIO SINESTESIE

testo di Cristina Aglietti


Su una tela dal formato tondo che evoca la forma della Terra Stefania Di Filippo illustra l'evento sismico come energia primordiale liberata dal pianeta al momento della scossa. L'energia è un'impasto magmatico di colori stesi a corpo e dalle tonalità terrose. Denso e minaccioso, sembra un fuoriuscire dalla tela, lacerandosi in fenditure dai toni azzurrati che sfondono lo spazio, permettendo allo spettatore di penetrare il suo interno. La vista catturata dall'ammasso ribollente, stimola l'udito a cogliere il rumore generato da quella energia a lavoro: segno dell'orogenesi in perenne attività, essa non placa il suo processo di eterno rinnovamento, producendo sconvolgimenti terrificanti che mirano sempre, come ultimo approdo, a far emergere l'ordine dal caos."


AUTENTICITA’ E SENSO DELL’ESISTENZA
testo di Livio Garbuglia

l’artista non si ferma al dato oggettivo o alla sua rappresentazione prospettica, ma indaga le regioni della luce pittorica e dell’anima umana, svincolandosi dalla riproduzione, allora entra nel mondo della vera arte. La pittrice Stefania Di Filippo e molti altri artisti si sono impegnati nello studio dei colori e dell’animo umano. A lungo si è dissertato sulla percezione fisica e su quella psichica, su brillanza e saturazione, su relazioni e corrispondenze, indagini interiori. L’opera pittorica di Stefania Di Filippo arriva alla conclusione che l’uso dei colori conferisce all’attività artistica l’alone di magia, alchimia, sperimentazione empirica, l’ansia di un’anima che tende di là della realtà verso una più ricca vita spirituale. L’indole e il temperamento della Di Filippo la inclinano a vedere nelle apparenze più la luce che l’ombra, a cogliere nelle sensazioni della vita le forze che sembrano dare un significato ed un valore duraturo all’opera collettiva dell’umanità.di colore implica che si parli di luce, dal momento che senza la luce non vi può essere colore. Per Stefania Di Filippo è di fondamentale importanza conoscere perfettamente le possibilità del colore, poiché è questo il mezzo con cui si avvale per la realizzazione della sua opera unitamente alla fondazione introspettiva del disegno. Usare un diverso grado di intensità o di rifrazione della luce diventa per la Di Filippo una scelta espressiva: infatti modificando il rapporto tra luce ed ombra sulla superficie del personaggio femminile esotico da ritrarre la pittrice crea una visione intima, dell’identità di un popolo, del suo costume e della sua cultura. Una luce naturale illumina la superficie dei volti femminili, né mette in risalto i contorni, le sporgenze, i rilievi nonché le qualità dell’elemento materico. Contrastanti sono le zone d’ombra rispetto alle zone illuminate, che appaiono schiarite anche nelle zone dei contorni, mentre i toni intermedi concorrono alla descrizione del corpo d’arte nel senso dell’umano. L’ombra intima del corpo d’arte dà profondità e luce al disegno, definendo la tridimensionalità e il volume dei personaggi femminili immersi nel tentativo di ricongiungersi col tutto. La Di Filippo esplora il mistero pianeta-anima, il fremito di una vita profonda che solo con il pensiero non potrebbe cogliere: i moti più profondi del proprio animo, le voci misteriose del mondo e della natura che l’attornia. Tuttavia la pittrice tende a disciplinare il mondo dei propri sentimenti, la propria umanità dentro una forma d’arte limpida, eloquente, espressiva. La pittura della Di Filippo appare capace di esprimere l’autenticità e il senso dell’esistenza perché prevede la rinascita della consapevolezza e dell’esperienza libera negli individui, contro la mancanza di libertà dell’uomo moderno. Se tale rinascita si esprime come un monito nella storia degli individui, allora si potrà ancora impedire l’avvento di una collettività di essere umani in serie, incapaci di reazioni proprie e desiderosi soltanto di mantenere intatto il loro stato di quiete, o meglio di assenza metafisica.



UN MONDO LIRICO NEL SUO SPETTACOLO SCENICO
testo di Livio Garbuglia

L’opera pittorica di Stefania Di Filippo ha derivato dalla fondazione memoria-materia il carattere personale e soggettivo: al centro di essa la determinazione spazio-tempo per un paesaggio naturalistico primordiale che diventa il perno di una civiltà rinnovata nella sua coscienza attiva: il mondo civiltà-magma-memoria sembra con le sue notazioni coscienti e ribelli ridursi in questo breve ambito a senso e traduzione della determinazione mito-essere-civiltà. La ricerca di levità, porta Stefania Di Filippo ad esprimersi con sottile concisione, in cui è eliminato non solo il superfluo, ma anche ciò che si può facilmente intendere.
E’ una ricerca di eleganza espressiva che in molti casi arriva alla fondazione materia-civiltà: questo gioco di spettacolo scenico, che dimentica volutamente ogni accordo necessario per indulgere a moduli espressivi celebrazione-essere, crea un linguaggio complesso, armonico e coerente, che tradisce una sensibilità combattuta, un mondo lirico che è riuscito a purificarsi nel suo rapporto cosciente.



LO SGUARDO DELL'ANIMA
testo di F.Paolo Li Donni

La ricerca artistica di Stefania Di Filippo si concentra sull’espressione di volti di donne e bambini di cultura indigena. Sguardi intensi, al centro dello spazio e del tempo in un’epifania serena e gloriosa, affondano nelle radici della nostra anima: è impossibile sottrarvisi.
La pittura dell’artista evoca, con una forza realista di suggestione e d’intensità, la sublime potenza espressiva e l’altissima tensione emotiva.
Sono figure che si stagliano sulla tela e appaiono capaci di dialogare tra loro con silenzi e gesti percettibili all’occhio umano.
I suoi lavori nascono dall’attenta analisi di soggetti semplici, immediatamente riconoscibili; dalle opere s’intravede un percorso in cui l’artista indaga nella molteplicità degli atteggiamenti delle figure rappresentate, rivelandone la profondità, senza mai lasciar trapelare il loro
status sociale. La plasticità delle forme attraverso il colore si libera sempre più dalla realtà per divenire più specifica ad indicare i “valori spirituali” dell’uomo.
L’artista interpreta personalmente una scena che la colpisce, la traduce in pittura per raccontare i valori dell’anima e dell’uomo ricercati ed individuati in quei volti.
Il suo linguaggio si esprime attraverso l’invenzione di “accordi”, realizzando immagini senza rinnegare la tradizione figurativa, incentrandosi sull’interpretazione della realtà percepita descritta da un tessuto pittorico ricco di elaborazioni tonali.
L’espressione intensa di quegli sguardi ha la potenza di un abbraccio immenso che trattiene dal cadere, annodando i fili dell’anima alla vita.


DUE PASSI SOTTO LA LUNA
testo di Gianni De Mattia

Due ciabatte con una margherita bianca sulla tomaia. Adagiate dolcemente, con meticolosa cura, sopra un tappeto di steli . Accarezzate dal chiarore della luna. Due ciabatte che stanno lì, per gioco magari. E perché qualcuno, pur avendole dismesse, non si rassegna a staccarsene e vuole perciò offrire ad esse una nuova possibilità, una nuova ragione per continuare ad esistere.
E’ il fantastico scenario dell’opera (“Due passi sotto la luna” appunto) che dà non solo il titolo ma anche il senso alla rassegna monografica, nella quale Stefania Di Filippo presenta una limitata raccolta di tecniche miste, ascrivibili al triennio 2007-2010 e consistenti in una serie di oli e smalti su tela con talune inserzioni di indumenti personali. Diciamo limitata con riferimento al numero dei lavori, ma l’importanza che essa riveste per la conoscenza di un lato fondamentale della personalità dell’artista è decisamente più grande. Questi lavori, che rappresentano in realtà una nicchia seppure significativa nella ricerca dell'artista, ne svelano il lato più intimo e più vero, vale a dire l’aspetto giocoso, incline alla giocondità, al riso non sfiorato da conflitti interiori.
Altro dato da sottolineare è la peculiare genesi che li contraddistingue. Genesi che va innanzitutto individuata in un particolare automatismo combinatorio, grazie al quale l’artista associa in maniera casuale dati percettivi sbirciati o colti nei luoghi più disparati, come ad esempio la foto di una rivista di moda, una scritta che incuriosisce, un’immagine pubblicitaria, la copertina ammiccante di un libro.
E’ evidente come tale automatismo richiami, sia pure formalmente, la casualità caotica e il prelievo di oggetti senza evidenti nessi semantici tipico dell’esperienza dada. Del resto, i sintagmi linguistici inseriti dalla Di Filippo nel contesto, senza un’apparente connessione con gli altri dati figurativi, parrebbero avvalorare tale accostamento. Ma in realtà qualche affinità possiamo registrarla solo con alcuni esponenti del “New Dada” americano, e in particolare con i “combine paintings” del primo Rauschenberg, dove l’artista cerca una sintesi magmatica della propria vita, assemblando fatti e oggetti della quotidianità in modo tale che ogni frammento entri a far parte di un racconto, di una vita.
Nell’opera della Di Filippo interviene però anche una matrice fortemente ludica. Il gioco e nient’altro che il gioco è la vera molla che innesca una serie di rimandi incrociati, sul piano simbolico, tra i dati percepiti e i contenuti del vissuto sedimentati nella memoria, tra questi e gli echi che emergono dall’inconscio profondo sotto forma di fantasie rimaste allo stato dormiente, o di sogni gelosamente occultati e coccolati alla stregua di quanto si fa con gli oggetti più cari che riponiamo in un cassetto segreto. Arte come gioco, dunque. Dettata dal solo piacere di giocare. Perché in fondo tra arte e gioco, come affermava Freud nel saggio “Il poeta e la fantasia” del 1907, c’è una sostanziale affinità, in quanto entrambi costituiscono un regno intermedio tra la fantasia e la realtà ed hanno altresì un ancoraggio ad oggetti tangibili.
Ma ciò che veramente connota tali lavori è la forte iconicità conferita ad una presenza oggettuale, ovvero quella di un indumento. Lo stesso indumento che fu a suo tempo dismesso e poi casualmente ritrovato a seguito di un “cambio di stagione” assume ora una forte valenza simbolica. Ecco allora, solo per citare qualche esempio, la canottierina a vivaci tinte nel caso di “Una sera di mezza estate”, la maglietta fucsia in “Lavori in corso”, la camicia estiva a fiori rossi in “Gioia di vivere”. Capi di vestiario a cui l’artista ha voluto restituire nuova vita, sottraendoli al destino perituro delle cose. Nei loro colori ridenti, che evocano immagini di innocente felicità, ha potuto ritrovare le emozioni, gli slanci dei momenti lirici. Se l’artista mostra di essere visceralmente legata ad essi da un amore tenero, è perché li sente parte di sé stessa, nido protettivo della propria intimità. Esattamente come fa la chiocciola, la quale si trascina la “casetta” sul dorso ovunque vada, per trovarvi riparo e protezione.








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aggiornato il 11 lug 2013 | stefydifilippo@yahoo.it

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